Tu invochi da tempo che “il caso” Syd Barrett venga chiuso in modo umano e onorevole per lui, e sostieni che il chiacchiericcio che continua ad accompagnarne la memoria è in qualche modo persino eccessivo.
Perché dunque ‒ oggi ‒ un altro libro su Syd Barrett?
Perché credo che più o meno dal 1972, anno della sua scomparsa dalle scene rock, il giornalismo non abbia saputo affrontare la sua storia con la dovuta sensibilità e spregiudicatezza, soprattutto nell’indagare il controverso rapporto – tutto politico – tra arte e mercato, con le implicazioni sottese all’esperienza di una potenziale rockstar nell’industria dello spettacolo. La storia di Barrett è unica nel restituirci le ragioni di un mondo che, proprio a causa dell’industria dello spettacolo, cominciava in quegli anni a smarrire il senso più profondo, direi ontologico, dell’umano, ridotto a prodotto di vendita. Abbiamo visto, da quell’epoca, quale destino tragico ha imboccato.
Con quali criteri hai selezionato i brani che compongono questo libro?
C’è un filo che li lega in questa sequenza?
Il filo che lega i materiali raccolti in questo libro è prima di tutto cronologico. Il criterio temporale mi è sembrato il più congeniale ed efficace per testimoniare quella che è stata, indubbiamente, la storia di un’ossessione, la mia ossessione, e quella di tanti fan del musicista: la ricerca delle ragioni che portarono Barrett ad abbandonare le scene proprio al culmine della sua notorietà, infrangendo una delle regole auree dello star system. Perché lo fece? Questa domanda ha permeato quarant’anni della mia vita, senza che io sia riuscito, dopo tutto, a raggiungere una risposta definitiva. Mi consola che anche gli altri biografi e studiosi non siano approdati a nulla, pur suggestionati da numerose teorie mai confermate. Penso che la documentazione qui disponibile, raccolta lungo questo percorso di ricerca senza sbocchi, possa consentire al lettore una riflessione su cosa sia la ricostruzione biografica di una vita sfuggente, paradigmatica di tutte le vite, ma una ricostruzione destinata al fallimento perché ogni storia personale, per quanto ci si sforzi di rappresentarla, è una storia indicibile, unica e inafferrabile sempre. Nel caso di Barrett, oltretutto, specie i primi anni, mancavano fonti dirette disposte a raccontare il poco che si poteva: questo libro è anche il racconto di cosa ha significato svolgere questa ricerca per il giovane freelance italiano che ero, negli anni Ottanta, quando non esistevano internet e i media digitali, si partiva e si andavano a cercare le testimonianze dove si pensava di trovarle. Era una sfida, un azzardo. Un modo anche per tentare di rivivere un’epoca di cui, anche per motivi anagrafici, non ho fatto esperienza.
Hai incontrato lui, hai parlato con le persone a lui più vicine, familiari sodali e amici, come testimoniano le molte interviste contenute in questo libro e negli altri che hai scritto su di lui. Il tuo rapporto con Barrett deve essere a questo punto qualcosa di molto profondo. Possiamo dire che questo Scritto sui rovi sia la tua parola “definitiva” sulla vicenda di Syd Barrett?
Ammetto che spesso, nel corso di questi quarant’anni di scrittura su Barrett, mi sono ripromesso ogni volta che fosse l’ultima, ma ho trovato sempre nuove ragioni per tornare a occuparmene. L’ultima, dopo la sua morte del 2006, è stata a seguito della decisione della famiglia di vendere la sua casa e i suoi effetti personali, una decisione che ho sentito come una profanazione delle riservatezza che in vita Roger Barrett aveva sempre strenuamente difeso.
Le immagini contenute in questo libro sono molto belle, raccolte sul campo della ricerca che ti ha portato più volte in Inghilterra sulle tracce di Barrett. C’è qualcuna tra queste foto che ha per te un significato particolare?
A parte le due foto della casa di Barrett – che scattai a Cambridge dopo il nostro fortuito, fugace incontro dell’estate 1985, e che diventarono il mio modo per ricordare che non si era trattato di un sogno – ha per me un significato particolare la foto di copertina di Syd a diciotto anni, regalatami da Storm Torgherson. Ritrae Syd prima del suo ingresso sulla scena rock, quando suonare e dipingere era ancora per lui semplicemente un gioco da adolescenti. Come ha affermato sua sorella in una mia intervista, se non si fosse mai affacciato a quel mondo molto probabilmente sarebbe rimasto la persona gioviale, positiva, creativa che era, innamorata della vita. Sono contento che ZONA, nonostante non sia la foto più caratteristica tra quelle che si potevano scegliere, abbia deciso di utilizzarla per la copertina, decisamente emblematica di tutta la vicenda che ho raccontato.
Syd Barrett. Scritto sui rovi
di Luca Chino Ferrari
ZONA Music Books, 2024
pp. 300 illustrate b/n – ISBN 9788864388441