L’allenatore errante

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Storia dell’uomo che fece vincere cinque scudetti al Grande Torino
di Leoncarlo Settimelli

Dice il Talmud: se i cieli fossero carta, i mari inchiostro e tutti gli alberi penne, non basterebbero a descrivere la complessità del mondo. Questo libro ha vinto il Premio Selezione Bancarella Sport 2007

ZONA | pp. 160 | ISBN 8889702206

Descrizione

Tra le squadre di calcio italiane, ce n’è una – il Torino – che può vantare, tra i molti primati, d’aver vinto cinque scudetti consecutivi, negli anni più terribili e al tempo stesso esaltanti della nostra storia: 1942-43, 1945-46 (i due campionati precedenti non furono disputati, per via della guerra), 1946-47, 1947-48, 1948-49. Quest’ultimo fu assegnato “d’ufficio”: i granata erano già matematicamente campioni d’Italia quando – di ritorno da Lisbona per un’amichevole – l’aereo sul quale viaggiavano, un trimotore Fiat 202, si schiantò contro la collina di Superga. Era il pomeriggio del 4 maggio 1949. Il bilancio di quella tragedia fu di trentuno morti, nessun superstite. A bordo, ovviamente, c’era anche l’artefice di quella ininterrotta serie di trionfi, ch’erano valsi alla squadra l’appellativo di “Grande Torino”: un ineguagliato genio del pallone, l’allenatore Ernest “Egri” Erbstein. Ebreo ungherese, immigrato in Italia nel 1919, costretto ad abbandonare il nostro paese nel 1938 con l’avvento delle leggi razziali, fortunosamente scampato alla barbarie nazista, 51 anni, sposato e con due figlie. Eppure, Erbstein è un nome dimenticato, la sua immagine appare raramente anche nelle foto ufficiali. Perché?

Leoncarlo Settimelli ne racconta la vicenda umana e sportiva in L’allenatore errante. Storia dell’uomo che fece vincere cinque scudetti al Grande Torino. L’io narrante è Cassini – personaggio dietro il quale non si fatica a riconoscere lo stesso Settimelli – impegnato nella realizzazione di uno sceneggiato radiofonico sulla figura di Erbstein, che scopre fin dall’inizio delle sue ricerche che qualcosa di non detto ne oscura la memoria.

Cassini ricostruisce la lunga e rocambolesca diaspora di Erbstein: la fuga dall’Italia attraverso l’Europa, con tutta la famiglia, prima verso l’Olanda poi verso la nativa Ungheria, dove continuerà a fuggire la persecuzione delle SS e delle sanguinarie “Croci frecciate”, e da dove – grazie alla trasformazione del cognome in “Egri” – riuscirà qualche volta a fuggire in Italia per incontrare segretamente Novo, il presidente del Torino, e indicargli i calciatori da acquistare. Per rinforzare la squadra che aveva lasciato a malincuore, e alla quale avrebbe regalato la più lunga e fortunata stagione del calcio italiano.

Grazie a numerose testimonianze – la figlia Susanna Egri, l’attore Raf Vallone, da giovane calciatore del Torino e cronista dell’Unità, i giornalisti Antonio Ghirelli e Giorgio Tosatti (il padre Renato, corrispondente della “Gazzetta del popolo”, era al seguito della squadra e morì anch’egli a Superga), il terzino Sauro Tomà, scampato alla morte perché infortunato – il copione dello sceneggiato di Cassini prende forma, qua e là attraversa e scandisce la narrazione, con i suoi rumori, le canzoni di sottofondo, le voci dei personaggi. La storia di Cassini, intanto, s’intreccia a quella di Erbstein, nel ricordo di tutti gli ebrei – e sono molti, fatalmente – che il narratore ha incontrato: da Marcella, orfana adolescente di genitori deportati (nascosta in casa di Cassini, a Firenze, quando lui aveva solo otto anni), al “violinista di Auschwitz” Jacques Stroumsa, fino a Moni Ovadia.

Ma perché Erbstein è stato dimenticato? Cassini scopre che L’allenatore errante fu vittima di un’infamia, dalla quale fu costretto a difendersi pubblicamente nel 1947: fu accusato di essere una spia russa, di aver tramato contro la nazionale italiana in occasione di un incontro con la nazionale ungherese, di avere simpatie e amicizie comuniste. Questo ha cancellato il suo nome dagli annali delle glorie sportive nazionali? O il fatto stesso che fosse ebreo ha alzato intorno a lui il muro del pregiudizio e dell’oblio? Il racconto di Cassini diventa un ideale strumento di giustizia, un modo per rendere al grande Erbstein ciò che è suo. Un doveroso tributo di memoria, una storia avventurosa e commovente che doveva essere raccontata, e che Settimelli racconta con la consueta, grande maestria.

Leoncarlo Settimelli (Lastra a Signa, 14 gennaio 1937 – Roma, 26 aprile 2011) è stato un giornalista e cantautore italiano. Ha vissuto a Firenze un’infanzia segnata dall’occupazione nazista e dalla guerra, ma anche dalle gesta dei genitori partigiani. Prima operaio in una fabbrica di gomma, poi giornalista all’ Unità, Paese Sera, Vie Nuove, Big e Men, negli anni Sessanta si trasferì a Roma, dove fondò il Canzoniere internazionale, gruppo di folk-revival e canzone politica tra i più vivaci e corrosivi di quegli anni, con all’attivo decine di spettacoli teatrali e televisivi, dischi, pubblicazioni e tournée. Tra le sue opere, il libro Dal profondo dell’inferno, canti e musica al tempo dei lager (Marsilio) e il CD Canti dei lager, edito da l’Unità. Per ZONA ha pubblicato anche Il ’68 cantato (e altre stagioni).