La premessa dell'autore
Non esistono discipline, ma solo problemi. Potremmo ricorrere alla nota affermazione di Karl Popper come epigrafe
per uno studio sulla percezione. I processi attraverso i quali, utilizzando i sensi, costruiamo una conoscenza del mondo richiamano, infatti, un variegato insieme di problemi,
che forniscono una materia inesauribile per approcci,
teorie e tradizioni di ricerca differenti, spesso molto distanti. Il mosaico di idee, di esperimenti e di riflessioni che ne risulta è assai vario e rimane ricco di implicazioni, anche quando non disegna un sicuro ambito disciplinare.
Ai temi della percezione si sono interessati fisiologi, psicologi
e artisti che hanno non di rado incrociato i propri percorsi nella speranza di un possibile reciproco sostegno. Trattano di percezione la fisiologia, la biologia, la psicologia,
le scienze cognitive, l’estetica, avendo quest’ultima già nell’etimo il riferimento a una conoscenza ottenuta attraverso i sensi. Da un lato, nell’ultimo secolo, sono stati sviluppati approfonditi programmi di ricerca per l’indagine sui meccanismi che regolano l’atto percettivo; dall’altro l’intensa riflessione sviluppata nell’atelier dei pittori fornisce
una notevole letteratura, spesso più illuminante di alcuni esperimenti di laboratorio. Il crescente interesse di questi ultimi anni verso i temi della percezione è, poi, conseguente alla proliferazione dei prodotti culturali che ad essi si affidano. Dal cinema alla fotografia, fino alla grafica
pubblicitaria e al marketing: numerosi sono i tentativi di verificare l’efficacia di inediti e sofisticati dispositivi visivi
che, con il diffondersi pervasivo delle tecnologie, impongono
di riconsiderare il problema della percezione nel dibattito sulle potenzialità dei nuovi media.
Alla pluralità degli approcci disciplinari corrisponde un ampio ventaglio di descrizioni: si potranno, infatti, prendere
in esame le condizioni fisiche e fisiologiche che rendono possibile l’atto percettivo e si terrà conto delle condizioni psicologiche e culturali che permettono di attribuire
significato nell’atto stesso del percepire.
Per ciascuno dei livelli di descrizione, fisiologico, psicologico
e culturale, occorrerà approntare specifici linguaggi e strumenti di analisi che tuttavia porteranno a maggiori risultati se posti in mutua relazione, più che confinati alla categorizzazione disciplinare, anche qualora ciò comporti il rischio, come sicuramente avviene nel presente lavoro, dell’incompletezza e della sommaria
generalizzazione. Nel pagare il prezzo di qualche approssimazione, però, rimane la speranza di disegnare un quadro dalla cornice larga nel quale restituire l’incomprimibile complessità dei processi percettivi. A questo scopo, bisognerà ricorrere alle acquisizioni
di scienze diverse, rispondendo a suggerimenti diversi,
in un lavoro che assomiglierà più al prodotto del bricoleur
che all’opera dello specialista.
La pluralità dei piani di descrizione consente quanto
meno di tener presente questioni interessanti, come per esempio quella della relazione tra il fisico e il mentale nell’atto del percepire e che introduce al “grande problema”
della distinzione tra mente e mondo, con tutto il corollario
delle domande poste dall’attuale filosofia della mente. Il confronto tra una dimensione mentale e una dimensione
fisica, più che consolidare un’opposizione, sembra disegnare una geografia dai confini incerti e mutevoli, in cui l’una è parte dell’altra, mentre l’indubbia prossimità tra le attività del percepire e del comunicare, inducono a tenere sempre in considerazione la stretta relazione tra individuo
e contesto culturale. Ogni attività percettiva, nella
sua accezione più estesa, si presenta dunque non tanto nella forma di un “fatto” ma piuttosto come un processo complesso che impone una incessante elaborazione, a sua volta, parte della continua negoziazione di valori e di senso.
Ogni attività percettiva, in questo modo, permette di riformulare, insieme, l’orizzonte entro il quale sentiamo, pensiamo e ci muoviamo, costruiamo significati e valori, ovvero entro il quale più semplicemente esistiamo. Non si potrà perciò evitare una riflessione sulla distinzione tra soggetto che percepisce e mondo percepito, ipotizzando, in luogo di una dicotomia, un intero, nel quale soggetto e contesto si definiscono in una mutua relazione. Senza un uso continuo dei nostri sensi, infatti, non potremmo costruire alcuna conoscenza dell’ambiente nel quale viviamo, che, però, si svela ed è accessibile alla conoscenza attraverso qualità specifiche, significative per i nostri processi percettivi
e cognitivi.
Collocato in un orizzonte che è insieme fisico, fisiologico, psicologico e culturale, il mondo percepito viene ad essere il luogo delle condizioni date alla - e dalla - nostra esistenza.
In altri termini, ipotizziamo un rapporto costitutivo per il quale il percepire permette di dare consistenza al mondo, che proprio in quanto consistenza vissuta e condivisa accoglie
e sostiene l’esistenza dell’individuo che percepisce. È questa la direzione verso cui abbiamo orientato, speriamo in modo convincente, le argomentazioni presentate nelle pagine che seguono.
Queste ordinano materiali diversi utilizzati per le lezioni tenute negli ultimi anni, presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia e presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma. In alcuni capitoli propongo una revisione dei contenuti tratti dal mio Il mezzo
dello sguardo del 2004.
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