Partiamo da un se. Alteriamo l’ordine della “fabula”, e peschiamo dall’intreccio di fatti e speculazioni. Se il teschio trovato il 14 maggio 2001 nel confessionale della chiesa di San Gregorio VII a Roma fosse quello di Emanuela Orlandi questo libro non avrebbe motivo di esistere. Il cerchio si chiuderebbe. Perché il se può essere raggelante. Paralizza. È una porta socchiusa dietro cui potrebbe nascondersi di tutto, è il terrore fatto parola. È la somma delle possibilità cui è appesa la nostra vita. Un se.
Ma, d’altro canto, se quel teschio non appartenesse a Emanuela Orlandi, i fili di questa vicenda continuerebbero a penzolare, le parole si moltiplicherebbero, la “fabula” sarebbe infinita. E, a sua volta, genererebbe un’ennesima serie di se. E di perché.
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